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ORATORIO DON BOSCO - San Donà di Piave

A tu per tu con don Nicola Munari

del 13 novembre 2020

Un’intervista da non perdere: il neo Direttore si racconta ai microfoni della nostra Redazione...

Nel nostro spazio dedicato alle interviste non poteva mancare l’incontro con don Nicola Munari, salesiano dalla tempra straordinaria che da poco ha preso il testimone da don Massimo Zagato, diventando il 22° Direttore dell’Oratorio "don Bosco" di San Donà.

Il suo sorriso accogliente spalanca le porte alla conversazione:

 

Don Nicola, grazie per il tempo che ci concedi. Sei a San Donà da quasi tre mesi ma non tutti hanno avuto ancora modo di conoscerti. Ti vuoi presentare? 

“E’ facile che non mi conoscano ancora - esordisce - perché gli impegni sono tanti e variegati. 

Rimedio subito: sono nato a Cittadella il 12 novembre 1968 e sono cresciuto in una bella famiglia, semplice e tanto credente. Dai miei genitori ho imparato l’abc della fede, una fede incarnata nella vita”. E porta due esempi: “quando i miei genitori mi accompagnavano a scuola in auto (non essendo la zona servita dai mezzi pubblici), mia mamma intonava le preghiere lungo tutto il tragitto. Alla sera, durante la recita del rosario, mio papà se ne stava inginocchiato sulla sedia con le mani sulla testa e i gomiti appoggiati sul tavolo… Ho avuto la fortuna di avere una famiglia, anche parentale, molto unita. 

A 12 anni ho conosciuto i Salesiani. Mi trovavo male nella scuola del mio paese e ho chiesto ai miei di trasferirmi nella scuola salesiana di Castello di Godego dove avevo fatto l’esperienza di una settimana cosiddetta dell’amicizia e di un campo scuola, ma non c’era posto. L’anno successivo mi hanno accettato come interno, in via del tutto eccezionale. Bellissimo! Da lì è partita la mia storia: l’amore per don Bosco, il lavoro con i giovani, la scelta di fermarmi dopo le medie a vivere la dimensione comunitaria per poi entrare in Comunità Proposta a Mogliano. Finite le superiori, ho cominciato il percorso formativo per diventare salesiano. Durante gli anni di teologia mi è capitato di lavorare nella zona più malfamata di Torino, all’oratorio di San Luigi, che è il secondo oratorio fondato da don Bosco, a contatto con ragazzi ultimi dove con sorpresa ho sperimentato un cammino ricco di proposte belle ed esigenti. Sono stato ordinato a Trieste e poi destinato a Mogliano come insegnante e incaricato dell’oratorio. Anni frizzanti, che conservo nel cuore. Presa la licenza in teologia pastorale, sono stato prima a Pordenone e poi a Porto Viro dove mi sono fermato 13 anni, inizialmente come incaricato dell’oratorio e poi anche come direttore dell’opera. Confesso di aver maturato un grande amore per quella terra. 

Ad agosto l’obbedienza mi ha portato a San Donà”.

 

Qual è stato l’impatto con l’oratorio tradizionalmente considerato il più bello del mondo?

L’oratorio di San Donà è un oratorio che avevo frequentato solo di passaggio ma che avevo sentito nominare molto, un oratorio che ha fatto scuola. 

Non è stato difficile inserirmi, prima di tutto perché qui la gente è proprio bella e accogliente. Ho trovato un ambiente curato, una realtà molto strutturata con presenze tanto propositive. Sto entrando nel mio ruolo senza forzature, mi sto dando tempo per conoscere tutte le realtà ed entrare in dialogo con loro. Ciò significa curare la presenza in oratorio e nella scuola. Il confronto continuo con i miei collaboratori (confratelli e laici) mi dà la possibilità di portare avanti in maniera comunitaria l’opera. 

Tutto a piccoli passi. Ci sarà tempo per fare grandi proposte, che in questo periodo non sono nemmeno possibili. Confesso che la vivacità mi ha sempre accompagnato molto, ma al momento la mia preoccupazione sta nella qualità della proposta formativa, nella qualità della presenza con i ragazzi e dell’accompagnamento personale…

Tutto questo diventa occasione e servizio principale per quello che è il mio ruolo.

 

Ti trovi a guidare questo oratorio in un periodo storico insolito. Avverti qualche parallelismo con l’esperienza vissuta da don Bosco durante la pandemia di colera? Quali insegnamenti possiamo trarne per l’oggi?

Oggi sarebbe impensabile mandare dei ragazzi a fare quello che don Bosco ha proposto all’epoca ai suoi giovani perché le modalità e i tempi sono totalmente diversi. Da quell’esperienza però si può trarre un insegnamento: il virus non deve fermare la nostra azione con i ragazzi e per i ragazzi. Dobbiamo prenderci cura dei giovani il meglio possibile, sfruttando tutte le opportunità che ci vengono offerte anche a livello tecnologico. 

Come si può notare entrando in oratorio, è stato predisposto un lettore di codici a barre per permettere il monitoraggio delle presenze ed evitare situazioni di assembramento. Per questo, stiamo regalando a tutti tesserini di accesso. Posizioneremo anche un termo scanner molto sofisticato che fornirà indicazioni su come ci si deve comportare.

 

Un cortile sempre più sofisticato e messo a rischio dall’emergenza sanitaria. Il cortile di don Bosco può diventare oggi un cortile virtuale?

Preferisco un cortile distanziato che virtuale. Quando vai a toccare le relazioni delle persone vai a destrutturare la persona stessa. Questo periodo è diabolico da questo punto di vista. Credo che effettivamente il nostro impegno debba continuare ad essere in prima linea con i ragazzi senza esser né troppo timorosi né troppo faciloni. Si tratta di mettere in atto tutto ciò che è possibile per salvaguardare la salute fisica ma anche quella psicologica e spirituale.

 

Come i giovani ci possono aiutare a coltivare la relazione in questo tempo particolare? 

Il giovane ci ricorda il desiderio dello stare con l’altro, un desiderio che non deve essere spento. I ragazzi non comprendono il distanziamento, hanno bisogno del contatto. 

Proprio per questo, credo, Gesù ci ammonisce:” Se non diventate come bambini non entrerete nel regno dei cieli”. E allora questo periodo ci deve rinfrescare la memoria su cosa vuol dire rigenerare il desiderio del contatto con Dio e con i fratelli.

 

E come possono gli adulti continuare ad abitare con fiducia il quotidiano dei giovani e riempirlo di significato?

L’adulto deve essere adulto cioè capace di dare nutrimento ad un altro. Per esserlo, deve farsi umile cioè capire che non può dare sostentamento se per primo non fa un cammino che rigenera la sua fede. 

Non possiamo fondare la nostra vita solo sul lavoro, altrimenti quando arriverà il momento della pensione cadremo in depressione. E’ fondamentale che troviamo qualcosa di adamantino su cui basare la nostra esistenza, dobbiamo cioè imparare a costruire la casa sulla roccia. E la roccia è Gesù, è una fede nel Signore dinamica, operativa. 

Non a caso Don Bosco dice: “Io per voi studio, lavoro, vivo”.

 

Un’ultima domanda: in questo momento difficile, l’Oratorio può dare supporto a tutte le fasce fragili della società, anche a quelle meno giovani?

Certo, già il fatto che la nostra chiesa sia sempre aperta e che si trovi all’interno dell’ambiente oratoriano dà la possibilità a chi viene di vivere la freschezza di un ambiente giovane, che rinfranca lo spirito. 

In questo periodo particolare dobbiamo tutti riscoprire il nostro contatto con Dio vincendo la pigrizia di vivere alla giornata. Quello che deve animarci è la gioia dell’essere cristiani. Troppo spesso, forse, non la manifestiamo a sufficienza. Ma la gioia è uno dei patrimoni più importanti del Vangelo.

E per questo io amo ripetere:” In alto i cuori!”.

 

Grazie, don Nicola! E' stato bello conoscerti. Buona avventura!

Wally Perissinotto

 

 

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