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CINEMA TEATRO DON BOSCO via XIII Martiri, 86 - San Donà di Piave (VE) - Tel. 346 960 5687 - vedi tutta la programmazione

La forma dell'acqua

La recensione del capolavoro di Guillermo del Toro, Leone d'Oro all'ultima Mostra di Venezia.
Di Tutti al cinema Appassionatamente

Vincitore a Venezia e probabile migliore regia agli Oscar prossimi venturi, LA FORMA DELL'ACQUA di Guillermo del Toro riesce a mettere insieme tutti i generi, "tragedia e delizia fianco a fianco" mostrando la grande abilità del regista messicano per quella che finora rappresenta dunque la sua opera summa. 
Un incipit da fiaba antica, perché "il tempo è un fiume che scorre dal passato", poi un inizio coi toni della commedia che si trasforma via via in fantasy, spy story, thriller e poi di nuovo in fiaba romantica, con l'acqua e far da conduttore, com'è stato fin dall'inizio della vita.
Elisa è una creatura angelica (semplicemente perfetta Sally Hawkins), un ragazza muta che fa del suo handicap un punto di forza. Che vince la propria solitudine occupandosi di Giles (Richard Jenkins), il vicino di casa, artista omosessuale con la testa fra le nuvole che "morirebbe di fame se lei non si occupasse di lui". Con la stessa dolcezza Elisa si occuperà della strana creatura, tenuta prigioniera nell'istituto scientifico governativo dove fa le pulizie con l'amica di colore Zelda (l'esageratamente candidata all'Oscar, già vinto anni fa per "The help", Octavia Spencer) 
"Il soggetto più rilevante che sia stato ospitato in questa struttura" - dice il responsabile della sicurezza - dell'essere anfibio dalle sembianze quasi umane (lo stesso Doug Jones che si nascondeva dietro "il fauno") catturato nel Rio delle Amazzoni dov'era venerato dagli indigeni come un Dio.
Siamo nell'America degli anni '50, dove, mentre si sentono alla radio drammatiche notizie sulla corsa agli armamenti e sulla crisi di Cuba, la guerra fredda si combatte anche sul terreno della scienza. I russi hanno appena superato gli americani nella conquista dello spazio mandando in orbita Juri Gagarin e lo studio di quella creatura potrebbe aprire all'America nuove frontiere di supremazia.
Ma è anche l'America che alla possibilità per tutti, a parole, di diventare Presidente, contrappone nei fatti l'idiosincrasia per i diversi, siano essi neri come Zelda, omosessuali come Giles, portatori di handicap come Elisa. O diversi tour cour, come la creatura, che secondo il crudele agente Strickland (un grande Michael Shannon) incaricato di seguire la faccenda, fedele senza alcuno scrupolo morale alla causa di quell'America, è un vero e proprio "affronto" e merita di essere torturata e vivisezionata.
D'altra parte neanche per lo spionaggio russo - con l'eccezione dell'infiltrato Dimitri, che crede più nella scienza che nella "causa" - ha un qualche valore la vita della sfortunata creatura: "Non ci serve imparare, ci serve che gli americani non imparino".
Di lei (lui, in realta')  importa solo ad Elisa, che come tutte le creature innocenti sa trovare un linguaggio comune che passa attraverso le vie del cuore, che non fanno distinzioni di razza o di specie. Ed ecco che la storia di del Toro torna a farsi favola romantica, la vera cifra del suo cinema, che nelle atmosfere horror con sfondo storico ha trovato solo lo strumento attraverso il quale esprimersi fin dal "Labirinto del fauno", che resta ancora a nostro avviso il suo capolavoro.
Certo, con LA FORMA DELL'ACQUA, grazie ad una sceneggiatura a prova di bomba e una regia accuratissima, del Toro ha realizzato il suo film più maturo che lo pone ai vertici del cinema mondiale. Ma la perfezione registica raggiunta, unita ad una scrittura fin troppo calcolata, toglie al film quell' impatto emotivo che una favola romantica dovrebbe avere. 
Quell'impatto emotivo che, nella imminente corsa agli Oscar, nonostante l'insensatezza del paragone e con qualche sbavatura nella sceneggiatura, ci vede preferire ancora i TRE MANIFESTI di McDonagh.

di Dino Geromel

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