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ORATORIO DON BOSCO - San Donà di Piave

Alle radici della spiritualità di don Bosco

del 29 gennaio 2021

La figura di san Francesco di Sales domina l'intervento del Direttore al Ritiro per gli adulti in preparazione alla Festa di don Bosco. Una bella riflessione che può illuminare il cammino di tutti  noi.

 

E se parlare di santità volesse dire parlare di me, o di te, o di mio marito o dei miei figli…?

Quando parliamo di santità ci riferiamo sempre ad una terza persona. Sembra che questa sia una realtà che non fa parte della nostra vita, delle nostre attese, possibilità o aspettative. Gli anni che abbiamo sommato sulle nostre spalle sembrano confermare che la nostra vita è ormai arrivata ad uno status spirituale tale da non essere facilmente cambiato. Anche nel rapporto con Dio l’entusiasmo giovanile sembra essere diminuito, più spento, quasi più anestetizzato. Il periodo non aiuta di certo. La stanchezza si fa sentire a tutti i livelli. E’ facile fare nostre le parole di Isaia: 

“Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto. Signore, io sono oppresso; proteggimi”.

Come possiamo pensare alla santità se la vita, i problemi, le zone colorate, le quarantene e i coprifuochi ci opprimono? La vita adulta è segnata dai problemi della quotidianità e spesso si perde quell’idealità e quella freschezza che danno slancio. Noi adulti viviamo la fatica di cercare qualcosa di nuovo e rischiamo di perdere l’aggancio, il rapporto e l’affetto con COLUI che fa nuove tutte le cose. La santità è vivere con fresca novità la routine di ogni giorno.

Dio ci comanda di essere santi e Gesù nel Vangelo è perentorio alla fine del capitolo quinto di Matteo. Il discorso della montagna inizia con le beatitudini e continua affermando che NOI siamo il sale della terra e la luce del mondo. Il capitolo termina affermando: 

” Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”.

Dio è proprio Papà: desidera che i suoi figli apprendano da Lui il meglio. E’ papà che sogna la gioia traboccante per i suoi figli, anche se sa che questa gioia costa, e costa cara.

La santità è l’incontro tra il mio desiderio e il desiderio di Dio che io sia felice, una gioia che ricolma che trabocca e che parla di vita eterna e di paradiso, insomma il Padre ci vuole Beati. 

Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.  Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.  Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

A tutte le età, in tutte le condizioni, in ogni vocazione la santità è il denominatore comune di chi è figlio di Dio in Cristo. L’opera più famosa di San Francesco di Sales, la “Filotea”, ci ricorda che questo è il nostro cammino, che la santità la devo nominare in prima persona, perché è di me che si parla.  San Francesco chiama la santità “devozione”, indicando come la nostra vita è una storia d’amore tra Dio e noi. Qualsiasi sia la nostra vocazione, questa “Love Story” mi riguarda.

Mia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto questa virtù sia accetta a Dio. La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione. Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e rasoterra; le aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in alto. A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto.

La santità non è uno sforzo titanico dell’uomo e nemmeno un dono che Dio riserva solo per alcuni. In una storia d’amore c’è un io e un tu e ogni storia d’amore è unica come coloro che la vivono. In questa meravigliosa opera di Dio che siamo noi, la fatica più grande è lasciarsi amare da Dio, imparando a non aggrapparci, ma ad abbandonarci al Signore. Pensiamo spesso al cristianesimo come ad una serie di adempimenti, o ad un impegno di servizio, a qualcosa da dire o da fare. Certo ci sono tutti questi aspetti, ma sono subordinati a qualcosa di più profondo. Nessuno si identifica come madre o padre per il lavoro che fa, per le faccende di casa che espleta, per i soldi che dà ai figli. Tutto questo è frutto di un amore talmente grande che è stato generativo nella carne e desidera essere generativo nello spirito. Come sposi e come genitori siamo segni e portatori dell’amore di Dio per il coniuge e per i nostri figli. Come cristiani siamo segni dell’amore di Dio per il prossimo. 

Facciamo bene attenzione: “Segni dell’amore di Dio”: 

Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione.

In questa storia ci sono i momenti di poesia e i momenti di dramma. La vita ci chiama a scegliere ogni giorno, perché Dio per primo mi sceglie ogni giorno: nel mio aprire gli occhi, attraverso mio marito o mia moglie; mi sceglie nei colleghi di lavoro, mi sceglie nelle gioie e nei dolori, mi sceglie quando sono pio e quando sono un povero peccatore. Quando agisco per bontà, per generosità sono strumento di Dio. La santità parte dal riconoscere che l’amore di cui sono capace ha una sorgente che mi supera ed ha l’abbondanza dell’infinito.    

Le modalità che caratterizzano una storia d’amore le conosciamo: Il dialogo, il perdono, l’ascolto, la fraternità, il condividere il cibo, il farsi un regalo, il correggersi a vicenda il sostenersi, il sopportarsi e il supportarsi, il perdonarsi e il lasciarsi perdonare. Tutto questo è anche presente nella vita cristiana in quel meraviglioso scambio tra me e Cristo nei sacramenti, nell’ascolto della sua parola, nella preghiera, nel dialogo con un suo ministro, nello scambio con i miei amici, nell’impegno e nel servizio per gli altri. La nostra esistenza è un’opera di Dio e mia. 

San Francesco di Sales propone in maniera decisa una via seria e impegnativa, perché l’amore è serio e impegnativo. 

La gente vede che i devoti digiunano, pregano, sopportano le ingiurie, servono gli infermi, assistono i poveri, fanno veglie, controllano la collera, dominano le passioni, fanno a meno dei piaceri dei sensi e compiono altre azioni simili a queste, di per sé e per loro natura aspre e rigorose; ma non sa vedere la devozione interiore e cordiale che trasforma tutte queste azioni in piacevoli, dolci e facili.

Potranno anche chiuderci in casa, toglierci la possibilità di andare dove vogliamo, ma non potranno chiudere il nostro cuore al desiderio di infinito che lo abita e non spegneranno mai l’amore di Cristo per noi.

Questo momento ci aiuti a tornare ad immergerci nel Signore, ad inzupparci di Cristo. In tutto questo non cerchiamo certezze che il mondo non sa dare, ma viviamo il ragionevole rischio della fede. 

              

 

San Francesco di Sales nasce a Thorens, in Savoia, nel 1567 da aristocratica famiglia. La sua piccola provincia dipende ancora da Torino, ma già partecipa allo sviluppo spirituale della Francia. Vi si parla il francese più puro, giunto a pieno compimento. Francesco di Sales terrà sempre uniti la sua Savoia e il regno di Francia.
A Parigi completa gli studi presso i Gesuiti che formano ottimi umanisti, brillanti per greco e latino, e cattolici ferventi. A 11 anni il giovanissimo Francesco chiede la tonsura e sorride in silenzio, persino un po’ divertito, quando suo padre parla di farne un giurista e un senatore. Nel collegio di Clermont si accosta alla Comunione eucaristica tutte le domeniche e i suoi compagni lo soprannominano “l’Angelo”.

A 18 anni vive una forte crisi dell’anima: «Come farò a salvarmi dalla perdizione eterna? Forse esiste davvero una predestinazione fatale? O l’uomo è libero?». Il giovane Francesco trova la luce nell’amore di Dio che vuole la salvezza di tutti, ma chiede la corrispondenza di ogni uomo a Lui. Quando si fa luce nella sua anima, l’attesa è ormai finita: cade in ginocchio davanti all’immagine della Madonna des Grés e la Vergine Santissima riceve il suo cuore, l’impegno a offrire tutta la vita al Cristo, del quale da sempre è innamorato.

Passa quattro anni a Padova, dove si immerge nello studio di san Tommaso d’Aquino e di sant’Agostino. Francesco si conferma nella vocazione che ormai è sbocciata dal suo primo boccio quando era decenne: «Sarò sacerdote».

Si mette subito all’opera. Francesco predica in chiesa e sulle piazze, soccorre i poveri, visita i malati, passa lunghe ore in confessionale sempre assediato da fedeli e da peccatori che si convertono, e parla molto, fino a far indignare suo padre, che lo vorrebbe predicatore con citazioni greche e latine, mentre lui predica in modo che tutti lo comprendano, e possano conoscere e amare Gesù. Il Chiablese, cioè quel meraviglioso paese di monti e di colline, che costeggia a sud il lago di Ginevra, è diventato protestante e calvinista. Il giovane Francesco di Sales, chiede di essere in prima fila.
Si fa missionario percorrendo in lungo e in largo il paese, sotto il sole o in mezzo alla neve, rigandola di sangue dai suoi piedi... gelati e screpolati, passando le notti sotto le stelle anche quando tira vento gelato, rischiando la pelle in mezzo ad avversari che spesso hanno il pugnale lesto. È mobilitato dall’amore a Gesù, possiede lo stesso suo Cuore tormentato dall’ardore per la salvezza delle anime; per la conversione di calvinisti a Gesù.
C’è chi non vuole ascoltarlo? Francesco scrive e fa scrivere dai suoi volontari volantini e manifesti, con concise e puntuali istruzioni sulla Fede cattolica, che affigge ai muri e fa scorrere sotto le porte delle case, che restano chiuse al suo bussare. Per questo sarà fatto patrono dei pubblicisti. Anche oggi ci sono laici che ricorrono a questo mezzo, aiutati da computer, internet o tipografie: un bell’apostolato di prima linea! Così quando nel 1598 il Vescovo esamina il lavoro compiuto, constata che quasi tutti i chiablesani sono tornati ad essere cattolici: ha convertito circa 30.000 persone. 

Clemente VIII lo consacra vescovo coadiutore di Annecy. Ha 32 anni è un uomo affascinante, ma di una purezza celestiale. Colpisce in lui soprattutto la sua mitezza, la sua carità (una volta, per via, si toglie le scarpe e le dona a un povero che non le ha!). Non urta mai con frasi severe, ma non fa sconti né è ambiguo sulla Verità che è pure sempre la prima misericordia e la più grande carità. Ha buon senso, prudenza, una fortezza come di diamante, nell’affrontare dispute con i calvinisti, che però sentono il suo amore di Padre, stile Gesù. Vuole formare anime forti in tutti i ceti sociali, tra i preti, i religiosi, gli sposi, a cominciare dalla donna, che ritiene per natura un’innamorata di Dio, una “Filotea”, e con questo titolo scrive il suo libro più famoso e più diffuso, bellissimo ancora oggi.

Con questo stile, con santa Giovanna De Chantal, Francesco di Sales fonda la Visitazione nel 1610. L’Ordine religioso femminile che diffonderà tra le giovani povere come tra le benestanti, la consacrazione a Dio, a Gesù Cristo, come Dio di amore, che porta a compimento l’umanità di ognuna.

Il 28 dicembre 1662, il santo Vescovo di Annecy vede Dio faccia a faccia così come Egli è. Ha solo 55 anni. Nel 1665, papa Alessandro VII lo iscrive tra i santi. Nel 1877, il beato Pio IX lo proclama Dottore della Chiesa.

 

don Nicola Munari

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