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ORATORIO DON BOSCO - San Donà di Piave

A tu per tu con don Massimo Zagato

del 14 aprile 2018

Ecco un’intervista da non perdere! Cerchiamo di conoscere un po’ meglio l’attuale direttore don Massimo Zagato.

Don Massimo mi concede l’intervista nel suo ufficio. Sguardo vigile, atteggiamento disinvolto e sicuro, mostra l'energia e l'ottimismo tipici di una leadership giovane e aperta al cambiamento e tutta la cordialità che è nella sua natura, ma ci tiene a precisare che questa sarà l’ultima intervista (cosa che non posso promettergli!).
Al di là del tavolo perfettamente in ordine come ogni angolo della stanza, sbircia il foglio con le domande che, questa volta, toccheranno per lo più aspetti “professionali”. Solo in apertura, mi riprometto di sollecitare il riaffiorare di un ricordo che è di certo fonte quotidiana di vitalità, di rinnovamento e di speranza.

 

Caro don Massimo, non hai certo bisogno di essere presentato. Siamo però curiosi di sapere com’è fiorita la tua passione per don Bosco. Quando hai maturato la decisione di diventare salesiano? Quali figure hanno orientato la tua scelta?

La mia passione per don Bosco c’è da sempre perché sono cresciuto in una parrocchia-oratorio e quindi fin da piccolo ho conosciuto Salesiani che mi hanno fatto gustare la bellezza del messaggio di don Bosco, a partire da don Italo Fantoni che è mancato poco tempo fa all’età di novant’anni. Ho maturato la decisione di intraprendere questo cammino in due momenti distinti: il primo, al termine di un’esperienza lavorativa in Inghilterra. Tornato a casa, mi sono detto: “La mia vita deve prendere uno stile diverso, ho sperimentato tante cose e non sono contento! Devo capire come dare più gusto e senso alla mia esistenza”. In quell’estate è arrivato a Porto Viro, mio paese natale, don Alberto Maschio che ha rilanciato fortemente l’oratorio coinvolgendomi nell’attività di animazione; mi sono così ritrovato ad essere tra i pionieri di questa nuova esperienza. E poi a diciott’anni, al termine di una messa serale del corso animatori, che si teneva a Pordenone, ricordo di aver chiaramente realizzato di voler diventare salesiano. Decisione che è maturata negli anni a seguire. Hanno orientato la mia scelta sicuramente don Alberto e don Igino, che mi ha accompagnato in Comunità Proposta.

 

Ad un anno di distanza, come ti trovi nella duplice veste di direttore della Casa e del CFP? Come descriveresti l’oratorio che stai guidando?

Sono due vesti entrambe belle perché mi consentono di avere un rapporto sia con i ragazzi che con gli adulti e di lavorare in maniera corresponsabile con i laici che sono a servizio dell’animazione di queste due realtà. Pur dovendo affrontare numerosi aspetti organizzativi, in entrambi i ruoli mi sento principalmente prete, e questo mi fa tanto bene. C’è sempre il rischio, certo, di farsi prendere dalla frenesia, dall’attivismo, ed è per questo che ricordo spesso a me stesso di rallentare e gustare al meglio le cose.
L’oratorio che insieme stiamo guidando ha una forte tradizione, è dunque un patrimonio che va custodito e rivitalizzato. Ciò comporta l’impegno di procedere sul solco già tracciato ma con l’audacia di cambiare e proporre cose nuove, consapevoli della necessità di tornare sui propri passi qualora le scelte non risultassero calzanti. Mi pare che il cammino intrapreso con il Consiglio dell’Oratorio e con i vari gruppi stia andando proprio in questa direzione.
Mi piace poi pensare che all’interno dell’oratorio ciascuno possa trovare il proprio posto, a partire dalla propria storia, dalla propria sensibilità, dal desiderio più o meno forte di mettersi in cammino.

 

Come è cambiato l’approccio didattico e formativo del Centro di Formazione Professionale? Ci sono indirizzi storici che avete rivisto o settori che avete introdotto di recente?

L’approccio didattico formativo si sta evolvendo per rendere sempre più attiva la partecipazione dei ragazzi. Questo, grazie alla didattica digitale e allo sforzo compiuto per rivedere i programmi e renderli più funzionali al lavoro. Il nostro principale obiettivo è quello di avvicinare i giovani alla cultura (bene prezioso, ma non primario per i nostri ragazzi), facendo leva sulle cose che piacciono a loro per portarli dove vogliamo noi. Ad esempio, per usare una metafora, vogliamo che l’evangelizzazione non sia la ciliegina sulla torta ma l’ingrediente stesso della pasta; è importante che il Vangelo venga annunciato e che i ragazzi possano farne esperienza nei ritiri, alla festa della scuola, durante i buongiorno e le varie attività.
Per quanto riguarda gli indirizzi, stiamo rilanciando (grazie ad una bella collaborazione con le aziende, l’Amministrazione comunale, il Confartigianato e la Confindustria) il settore meccanico perché, a fronte di una grande domanda da parte delle aziende, c’è una risposta molto piccola. Questo perché i ragazzi pensano che la meccanica sia solo sporcarsi le mani: invece è automazione, meccatronica e altro. Stiamo anche iniziando a fare grandi investimenti per l'implementazione del settore motoristico, intoducendo un nuovo indirizzo: la carrozzeria. Vogliamo infine arricchire un altro settore storico, quello elettrico, di una nuova frangia: le Energie rinnovabili. Questi tre investimenti esprimono bene il rapporto che c'è tra tradizione e innovazione.


Se nell’immaginario delle famiglie il liceo rappresenta la scuola più appetibile, i giovani chiedono sempre più di  apprendere capacità concrete spendibili sul mercato del lavoro. Quali indicazioni daresti per orientare i giovani verso una scelta responsabile che rispetti la vocazione di ciascuno?

In un mondo in cui i ragazzi hanno perso molte capacità manuali e l’abitudine alla fatica, penso che la formazione professionale sia un percorso di qualità, che non esclude la possibilità di riprendere, in un secondo momento, le nozioni e le conoscenze che necessitano di essere approfondite.
Direi anzi che, per certi aspetti, la formazione professionale fornisce una marcia in più. Come ripeto ad ogni ragazzo che incontro, stare in laboratorio 12 ore alla settimana diventa una vera palestra di vita: insegna a lavorare insieme, ad organizzare il lavoro, a gestire le difficoltà, a rispettare i tempi, le consegne…

Il suggerimento che mi sento di dare ai giovani è quello di non vivere secondo le attese degli altri, di non giocare mai al ribasso, di avere coraggio e di sognare in grande, sapendo che alla fine rimane solo ciò per cui abbiamo fatto fatica. Li inviterei soprattutto a porsi una domanda fondamentale, quella da cui siamo partiti: “Cosa voglio fare nella mia vita?”. Nella risposta sincera c’è già la traccia della propria vocazione.

 

Grazie, don Massimo, per l’impegno che poni nel proporre cammini educativi non meno efficaci di quelli di ieri e per lo sforzo che investi nel ricercare ambiziose vie di futuro.Ti auguriamo di continuare ad avvicinare i giovani con crescente passione e, soprattutto, con l’entusiasmo ed il cuore di don Bosco.

 

Autore: Wally Perissinotto

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